“Measures of men”: un film sul colonialismo tedesco in Namibia e le sue atrocità

Il difficile passato coloniale della Germania nell’Africa Sudoccidentale rivelato dal film di Lars Kraume che racconta del genocidio avvenuto. Il suo film “Measures of Men” segue un giovane scienziato da Berlino alla moderna Namibia e non si tira indietro quando si tratta di mostrare le atrocità in tutto il loro orrore. Il film è stato presentato alla Berlinale 2023 in proiezione speciale.

“Sto studiando queste culture”. È questa la giustificazione fornita da Alexander Hoffmann (Leonard Scheicher) mentre recide i crani dei membri morti della tribù Herero, saccheggiando le loro tombe, prendendo i loro averi o addirittura osservando gli stessi indigeni che rimuovono il tessuto rimanente dalle ossa dei loro cari. L’anno è il 1886 e la Germania sta commettendo un genocidio nella sua colonia dell’Africa sudoccidentale, un capitolo oscuro della storia tedesca. Un capitolo che, a differenza dell’Olocausto, è stato in gran parte dimenticato. Il regista Lars Kraume, il cui “Measures of Men” è stato presentato in anteprima in Proiezione speciale alla Berlinale 2023, ha deciso di riaccendere questo ricordo.

All’inizio, c’è puro idealismo. Hoffmann, un uomo di mezzi semplici, ma con alte ambizioni scientifiche, vuole diventare un etnologo come suo padre e studiare questi “selvaggi”. All’inizio del secolo, l’eugenetica, che distingue la “razza bianca superiore” dalla “razza nera inferiore”, è l’approccio scientifico dominante. Ciò viene fatto misurando le dimensioni del cranio o classificando il colore della pelle.

Ma Hoffmann si confronta con la prima crepa in questa visione del mondo quando incontra Kezia Kunouje Kambazembi (Girley Charlene Jazama), una Herero costretta a lavorare come traduttrice per la sua gente durante una fiera mondiale a Berlino. Intelligente e assertiva, sfida Hoffmann, che tratta lei e la sua gente come fenomeni curiosi. Hoffmann comincia poi però ad avere dubbi sul fatto che queste persone siano inferiori e realizza il suo scritto sull’uguaglianza delle razze, che non trova molto favore, soprattutto presso il suo professore (Peter Simonischek). Ma per dimostrare di avere ragione, qualche anno dopo si unisce a una spedizione nella colonia. È qui che Hoffmann si confronta con il vero orrore che va ben oltre alcune ipotesi obsolete sui teschi. I cosiddetti uomini di scienza rovistano in un villaggio dopo l’altro, saccheggiando una tomba dopo l’altra. I tesori vengono gettati nei sacchi, e gli Herero che si avvicinano, in cerca di acqua, vengono colpiti. Per reprimere una rivolta, vengono portati a morire nel deserto, mentre altri vengono catturati e rinchiusi nei campi di concentramento. I loro teschi vengono raccolti, “visto che non ne hanno più bisogno”.

Hoffmann, sconvolto da questa esperienza, ma ancora spinto dalla volontà di “studiare queste persone”, si mette alla ricerca di Kunouje. Tuttavia, la sua convinzione che la sua vita svantaggiata non sia un prodotto della sua razza, ma delle sue circostanze, sarà messa in discussione in più di un’occasione. E come mostra Kraume, questa non è la storia di un eroe, un uomo cambiato e disposto a combattere lo status quo; questa è la storia di come certi orrori del secondo Ottocento trovarono un terreno di coltura fertile nonostante la coscienza delle persone.

l film ha tuttavia attirato ricevuto molte critiche in Germania: il collettivo cinematografico afro-tedesco Schwarze Filmschaffende, in una dichiarazione pubblica al ministro di stato tedesco per la cultura e i media, Claudia Roth, si sostiene che il film re-infligge il dolore della disumanizzazione dei loro antenati ai discendenti degli Ovaherero e dei Nama, che sono vittime di un trauma intergenerazionale dovuto al genocidio.

I cineasti hanno espresso “orrore” relativamente alla selezione dei tre film alla recente Berlinale di quest’anno, tra cui “Measures of Men”.

“Il trattamento cinematografico di questo episodio storico non solo rende le sue vittime come comparse della loro stessa storia, ma traumatizza anche i loro discendenti e gli spettatori neri in generale, con le immagini spaventose e inquietanti del film di persone di colore disumanizzate”, ha affermato il collettivo di cineasti.

“In netto contrasto con i personaggi bianchi ambivalenti, tridimensionali e completamente formati con i quali si crea empatia, i personaggi di Ovaherero e Nama diventano sagome in gran parte passive del loro stesso genocidio. Usando una telecamera che li filma costantemente attraverso lo sguardo coloniale per lo più distante e oggettivante, viene loro negata l’empatia.

Il regista locale Florian Schott, anch’egli coinvolto nel film, non è d’accordo con questa valutazione. Ha detto che la storia è raccontata attraverso un protagonista tedesco bianco e la maggior parte dei personaggi neri namibiani sono personaggi secondari, ma, come ha detto più volte il regista Kraume, realizzare un film da una prospettiva namibiana, da parte di uno scrittore e regista bianco tedesco, sarebbe un’appropriazione culturale.

Ha anche affermato che il film fornisce un contributo importante e un motivo per ricordare un periodo terribile ma importante della storia tedesca e namibiana. “È importante per i tedeschi conoscere un capitolo quasi non raccontato della loro storia e potrebbe aiutare nelle trattative per le riparazioni.”

Fonte: https://cineuropa.org/it/newsdetail/439469/

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