Censimento sugli Elefanti: un tragico risultato dai cieli

“Non credo che nessuno al mondo abbia mai visto il numero di elefanti morti che ho visto io negli ultimi due anni”. A dirlo è Mike Chase, fondatore di Elephants Without Borders (EWB) e coordinatore del Great Elephant Census (GEC) un ambizioso progetto per contare dal cielo tutti gli elefanti della savana dell’Africa.
La rapidità e la portata del progetto GEC è senza precedenti. Finanziato dal cofondatore di Microsoft, Paul Allen, il censimento ha riunito i più noti gruppi di conservazione ed esperti ecologisti ed ha impegnato i migliori piloti del continente.
Prima del GEC, il numero totale di elefanti era basato soltanto su stime ipotetiche, ma negli ultimi due anni, 90 scienziati e 286 partecipanti al progetto hanno sorvolato 18 paesi africani, volando per circa 10.000 ore – l’equivalente della distanza fino alla Luna -.
Gli scienziati ritengono che, prima della colonizzazione europea, in Africa dovevano esserci ben 20 milioni di elefanti e nel 1979 il numero era sceso a 1,3 milioni. Il GEC ha rivelato che la situale attuale è peggiore di quella immaginata.
Secondo il risultato del Censimento – pubblicato a fine agosto sulla rivista open-access PeerJ – la popolazione di elefanti in Africa è stata decimata: con solo 352.271 esemplari viventi nei paesi esaminati. Un numero di gran lunga inferiore rispetto alle stime precedenti.
Tre i paesi con una cospicua presenza di elefanti che non sono stati inclusi nello studio: la Namibia, che non ha rilasciato né il permesso di sorvolo né i dati in suo possesso al GEC, e Sud Sudan e Repubblica Centrafricana, per i quali le indagini sono state rinviate a causa della presenza di conflitti armati.
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In sette anni tra il 2007 e il 2014, secondo l’indagine, i numeri sono crollati di almeno il 30% e in alcuni casi la situazione è ancora più inquietante.
Nella Selous Game Reserve in Tanzania e nella Nassa Reserve in Mozambico le popolazioni di elefanti sono crollate di oltre il 75% negli ultimi dieci anni, a causa dei bracconieri che hanno sterminato intere famiglie.
Il Babile Elephant Sanctuary in Etiopia rappresenta forse il caso più triste: Chase e la sua squadra hanno contato un solo branco di 36 elefanti, l’ultimo nel Corno d’Africa, un’area vasta quanto il Messico.
L’attuale tasso di declino delle specie è l’8%, il che significa che il numero degli elefanti potrebbe dimezzarsi in appena nove anni, arrivando a 160.000 con punte di estinzione localizzata in alcune aree.
Anche prima che il censimento offrisse la prova, gli scienziati avevano calcolato che morivano più elefanti di quanti ne nascessero. Ora la specie ha raggiunto un punto di non ritorno.
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Oltre al conteggio degli elefanti da piccoli aerei Cessna, Chase e i suoi colleghi hanno seguito i movimenti degli elefanti in Africa utilizzando collari satellitari che trasmettono dati in tempo reale sui movimenti dei pachidermi.
Il loro lavoro ha portato alla luce segni di straordinaria intelligenza di queste creature, tra cui la prova che essi riconoscono una serie di minacce derivanti dall’uomo e attraversano le frontiere per sfuggire a tali pericoli.
Il nord del Botswana è un noto corridoio per i branchi, che si spostano dall’arido Kalahari alle rigogliose e foreste di Angola e Zambia, passando per la Namibia.
Durante la lunga guerra civile in Angola, gli elefanti evitavano il paese, ma dopo la pace erano tornati nuovamente, finché, con il drammatico picco di bracconaggio per l’avorio, stanno nuovamente rimanendo alla larga.
Un’area che preoccupa è quella del fiume Linyanti in Caprivi, una lingua di terra larga appena 30 km che appartiene alla Namibia e che confinando con Zambia, Angola e Botswana la rende un luogo ideale per le bande di bracconieri.
“I bracconieri possono agire impunemente qui, perché non c’è nulla a bloccare i loro movimenti”, spiega Chase. “Questi confini, che sono totalmente aperti per la fauna selvatica, permettono ai bracconieri nel giro di pochi minuti di essere in tre paesi diversi e mettersi in salvo”.
Il Botswana è una delle ultime roccaforti degli elefanti e, insieme con il Sudafrica e lo Zimbabwe, rappresenta oltre il 60% di tutti gli elefanti conteggiati dal censimento del GEC.
Per proteggere la fauna selvatica del paese dai bracconieri, è stata creata la Botswana Defence Force (BDF), un battaglione di fanteria di soldati appositamente addestrati con più di 700 uomini e 40 basi sul confine nord. I soldati sono armati e autorizzati al shoot-to-kill, una controversa pratica militare di uccidere a vista i bracconieri. Ma il Botswana considera questa una guerra non convenzionale, ove tutto è permesso per sconfiggere il nemico.
Anche se i bracconieri sono spesso stranieri (ndr asiatici), di norma è gente locale che aiuta a coordinare le squadre, seppellire acqua e cibo e segnare i punti GPS. Secondo alcuni ufficiali BDF, si tratterebbe di ex forze speciali dello Zambia, equipaggiati con armi di grosso calibro.
Ma molti bracconieri nel resto dell’Africa sono meno sofisticati, svuotano l’intero caricatore di un AK-47, usano lance avvelenate, trappole o pozze d’acqua avvelenate.
In Angola i bracconieri arrivano anche ad utilizzare granate e mortai lasciati ai tempi della guerra.
Ma in realtà gli elefanti sono molto più preziosi da vivi che da morti.
Ogni elefante ucciso fa guadagnare al bracconiere solo poche centinaia di dollari – il resto dei soldi andrà nelle mani degli intermediari e delle bande organizzate -, mentre un elefante vivo può rendere più di un milione di dollari alle comunità locali coinvolte nell’ecoturismo, secondo un rapporto della David Sheldrick Wildlife Trust.
Per saperne di più: greatelephantcensus.com e elephantswithoutborders.org

Fonte: David McKenzie and Ingrid Formanek, CNN, September 1, 2016

 

Comments
6 Responses to “Censimento sugli Elefanti: un tragico risultato dai cieli”
  1. tramedipensieri ha detto:

    Una strage proprio 😰😰😰

      • tramedipensieri ha detto:

        Ma come si potrebbero aiutare questi pochi esemplari rimasti?

      • Café Africa ha detto:

        tanta educazione ambientale ai giovani locali, benefici alla gente del posto – soprattutto con sviluppo turistico -, controllare il territorio seriamente, combattere commercio illegale internazionale e fare propaganda negativa su avorio nei paesi in cui ancora viene apprezzato e che quindi generano la domanda.
        insomma tante sono le azioni e tanti anche i soldi e gli interessi.
        Talvolta sembra di combattere contro i mulini a vento, una sfida impossibile salvare i nostri cari e intelligenti amici giganti. Ma in certe zone piccoli segnali positivi sembrano esserci. Bisogna continuare e fare di più!

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