“Dall’Inferno si ritorna”: Bibi, cinque anni, sopravvissuta al genocidio in Ruanda

Un massacro, “l’ultimo genocidio del XX secolo”, raccontato dall’occhio sincero e senza filtri di una bimba di appena cinque anni.
Il 7 aprile del 1994 in Ruanda ha inizio uno delle carneficine più atroci della storia: il genocidio perpetrato dagli Hutu contro i Tutsi e gli Hutu moderati. In 101 giorni vengono assassinate un milione di persone, un omicidio ogni dieci secondi.
Bibi, piccola e sola, sopravvive a questo e ad altri inferni, che sembrano susseguirsi facendo credere che ogni volta non ci possa essere un seguito peggiore. “Io credo in Dio […] non so perché è andato via dal Ruanda, perché ci abbia lasciato da soli. Forse si è perso. O era occupato altrove. Di sicuro Dio non c’era quando ho visto morire tanta gente, quando hanno ammazzato la mia mamma e mio fratello e poi la zia e i cugini.”
Da quel momento Bibi vive nel terrore, senza legami, senza protezioni e con l’angoscia di non rivelare a nessuno di essere un’inynezi, un moscerino, come venivano chiamati nel paese in Tutsi durante i mesi della follia collettiva che ha spinto i vicini a massacrarsi l’un l’altro. A salvarle la pelle ci sono stati gli angeli, che talvolta hanno preso forma di mamme in prestito per qualche settimana, talvolta per qualche giorno.
Una storia di annientamento umano, di demoni feroci che va oltre le ragioni storiche, le spiegazioni politiche. “Dall’Inferno si ritorna” di Christiana Ruggeri (giornalista degli esteri e inviata di guerra del TG2), edizioni Giunti, parla direttamente al cuore col linguaggio semplice, candido, e perciò ancor più crudo, di una piccola bimba ferita mortalmente nell’anima e quasi mutilata di un braccio.
Eppure, nonostante tutto, come un’alba che dona speranza al seguire di una notte nera, dalle pagine del libro – a cui si rimane aggrappati in attesa delle righe che raccontano almeno la salvezza della piccola, simpatica, sveglia protagonista – arriva il messaggio di amore e sacrificio delle donne, di tutte le donne che in ogni modo hanno provato a salvare giovani vite – non facendo distinzioni di etnia -. Le donne, che fingendosi mamme, hanno salvato orfani sconosciuti; le donne che hanno allevato quasi mezzo milione di bimbi frutto del gukinda, lo stupro come arma di guerra subito da una donna su tre; le donne che oggi si sono unite a formare il 60% del parlamento ruandese. E poi Bibi, che oggi è donna e, dopo aver quasi completato la specializzazione in medicina in Italia, vuole tornare nel suo paese per aiutare a costruire un futuro migliore per le nuove generazioni di donne Tutsi e Hutu unite.
“Questi fiori ruandesi non si sono appassiti. Si sono piegati ma non distrutti e con una forza che solo gli angeli possono donare, queste nemiche devastate hanno guardato avanti. Si sono alleate contro ogni logica umana di rivalsa e di vendetta. Insieme, in ginocchio e umilmente, hanno raccolto i resti di un meraviglioso paese senza più uomini e con troppi cadaveri non seppelliti. Da quelle lacrime, dai loro sacrifici, la mia gente è risorta. Per la lungimiranza delle donne, il Ruanda oggi ha di nuovo i suoi tramonti senza sangue e la sua gente vive per costruire. Come un popolo solo.”
Un libro che fa entrare dritti all’inferno, facendotene poi uscire più consapevole e con una speranza. Altra ragione per leggerlo? La metà del ricavato delle vendite del libro è devoluto, per volere della sua autrice, alla realizzazione di una mensa per la Scuola Materna di della Casa della Pace e della Riconciliazione di Kicukiro, a Kigali.

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Comments
4 Responses to ““Dall’Inferno si ritorna”: Bibi, cinque anni, sopravvissuta al genocidio in Ruanda”
  1. tramedipensieri ha detto:

    Messo in lista soprattutto per la realizzazione della mensa. Perchè simili letture mi …distruggono.

    grazie
    .marta

    • Café Africa ha detto:

      Si Marta davvero ti distrugge. Come un foglio, il cuore viene appallottolato, accartocciato. E vi rimane il segno. Preparati anche un fazzoletto – io ne ho usati parecchi -. Ma alla fine penserai che ne è valsa la pena e che questo genocidio merita almeno una delle nostre lacrime.

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