Federica Marchesini: vivere e scrivere a Cape Town

È da poco uscito “Da un capo all’altro”, opera prima di Federica Marchesini. Café Africa ha intervistato l’autrice che ha raccontato la vita di un’emigrante soddisfatta a Cape Town.

Cape Town, la colorata, eccentrica, multietnica città del Sudafrica è sempre più alla vetta delle classifiche delle capitali internazionali più trendy – la Lonely Planet l’ha di recente incoronata seconda tra tutte le destinazioni del mondo – e c’è chi, come Federica Marchesini, ne è rimasto folgorato tanto da rimanervi a vivere.
Quando ancora in Italia si arricciava il naso a sentir pronunciare Città del Capo, Federica, giovanissima e con un lavoro nella moda in Germania, decise di partire per “la fine del mondo” e da allora non è più tornata.
Simile destino è toccato ad Atena, la protagonista di “Da un capo all’altro”, opera prima di Federica Marchesini, edito da NonSoloTuristi.it e acquistabile in cartaceo o kindle su Amazon www.amazon.it/Da-capo-allaltro. “Da un Capo all’Altro” è una storia di una giovane donna che, partita molti anni anni prima per Città del Capo, decide di fare un viaggio di ritorno verso la sua terra d’origine, l’Italia. Nel racconto Atena riesce a portare il lettore tra le assolate strade di Cape Town, che poi a sorpresa d’inverno possono essere fredde e bagnate, descrivendo come sia la vita di un’italiana in un paese così diverso e lontano. Lontana, lontanissima è l’Italia, i cui connazionali diventano “gli italiani d’Italia” ed è possibile riconoscerli da un miglio di distanza con tutti gli stereotipi della moda, tra cui “il maglioncino sulle spalle”.
Ma Federica, come Atena, è soprattutto una moderna forma di esploratrice, più che emigrante, una donna che ha scelto di raggiungere il “fondo del mondo”, ma dal quale non risale, se non raramente, per permettersi di continuare a scoprire nuove parti del proprio essere, altre possibilità di vita.

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Café Africa l’ha intervistata nel suo studio di Cape Town, appena tornata da una presentazione del suo libro, che presto sarà anche tradotto in inglese. Ecco cosa ci ha raccontato.
Nel tuo libro “Da un capo all’altro” racconti di Atena che si è trovata in Sudafrica quasi senza averne l’intenzione, con un biglietto di sola andata per spiare le giraffe, ma che poi è divenuta un’emigrante soddisfatta che ha trovato un equilibrio proprio alla fine del mondo. Anche per te è stato così?
Vivo in Sudafrica da quindici anni, proprio come la protagonista del mio romanzo. Mi trovo in questa parte di mondo un po’ per scelta e un po’ per caso: l’azienda di moda per cui lavoravo in Germania aveva distributori in tutto in mondo, così decisi di provare a lasciare l’Europa e scegliere la destinazione più lontana. Volevo lasciare il centro del mondo. Non volevo la gita scolastica, ma il viaggio. Quello che ti cambia se fatto con tutti i cinque sensi e ti fa mettere in discussione tutto quello credevi fosse roccia.
Nel tempo mi è capitato di voler andare via, perché talvolta vivere alla fine del mondo può essere tedioso, forse proprio per l’idea che non ci sia più niente sotto, che gli oceani creano una barriera invalicabile e che ci si sente intrappolati perché isolati. Eppure, ogni volta che volevo farla finita e salire, capitava qualcosa di bello nella mia vita che mi tratteneva quaggiù.
Tra le cose belle che ti legano a Cape Town, c’è anche la scuola di lingue che hai fondato nel 2007 e attraverso la quale organizzi anche numerosi eventi sociali e culturali per la nutrita comunità italiana presente in città. L’estrema cura per l’aspetto linguistico sia italiano che anglo-sudafricano, che si nota tra le pagine del tuo libro, è un’eredità del tuo lavoro quotidiano proprio con le lingue?
Certamente il mio lavoro di insegnante di lingue mi porta ad avere un’attenzione elevata sull’uso delle parole, di cui osservo i significati. Credo di aver portato questo bagaglio anche tra le righe del romanzo, ma in maniera leggera.
Con la scuola e le attività connesse sento di avere un ruolo in questa società, riunendo la comunità di connazionali e promuovendo la lingua e la cultura italiana. Qui, rispetto all’Italia, conosco tutti e mi sento qualcuno e sento di fare qualcosa che può essere importante.
Atena dice che bisogna chiudere la porta con il passato, perché la realtà che si è lasciata indietro è solo una delle tante possibilità di vita ed è l’unico modo per essere emigranti felici. Eppure oggi il Sudafrica è cambiato, non è più il paese del 1995, governato da Mandela. L’economia è in difficoltà, la violenza in aumento e un senso di incertezza aumentato soprattutto per i bianchi. Ogni tanto non ti manca l’Italia?
Io in realtà vivo in una bolla di sapone e sono contenta. Ho creato una mia realtà quotidiana che mi tiene lontana da tante situazioni che possono effettivamente essere pericolose. Non esploro molto, non vado molto furi città, cerco di seguire la mia quotidianità tamponando la mia curiosità per proteggermi. Purtroppo, si vive meno bene di un tempo, anche il costo della vita è aumentato tanto, anche a causa della popolarità di Cape Town, che è divenuta una capitale mondiale.
Quando ho finito di leggere il tuo libro ho pensato che sarebbe stato molto apprezzato dalle donne per i temi e per la protagonista femminile. Che tipo di lettori hai?
Non ho mai scritto pensando a chi dovesse essere il mio pubblico, ma quando finito il libro ho pensato fosse un tipo di scrittura al femminile. Eppure, mi sono dovuta ricredere, perché tantissimi uomini mi hanno avvicinato per farmi i complimenti per il libro. Anzi, questo romanzo sembra attrarre soprattutto uomini che non leggono quasi mai, suppongo perché ha una prosa scorrevole. Nonostante in alcuni punti abbia inserito riflessioni su questioni complesse, lo stile rimane leggero, qualcuno ha detto frizzante.

 

 

 

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